Intervista a Paolo Brunelli, testimonial FB

Le colline di Agugliano e il mare di Senigallia, la sperimentazione e la tecnica tipica del jazz, la tradizione di famiglia e la forte inclinazione alla tecnologia e all’innovazione, la classicità del cioccolato e la capacità di confrontarsi con i cambiamenti del gusto: per cambiare la storia di un prodotto così popolare, per tutte le tasche, come il gelato bisogna avere la voglia di portarlo anche oltre la modernità. Musica (è proprio il caso di dirlo) e spartito di Paolo Brunelli, classe 1965, marchigiano, Maestro dell’omonima Gelateria Cioccolateria in provincia di Ancona.

Foto di brambillaserrani.it

Partiamo proprio dalla musica. Tutta la sua esperienza creativa sembra essere guidata dalla musica e ricondotta alla musica. Che valori le porta?
La musica, il jazz in particolare, ha fatto parte della mia vita a lungo e ancora oggi ne fa parte. Mi ha portato a scoprire un importante modello su cui lavorare: conoscere in maniera ferrea la tecnica per poi sviluppare con forza l’improvvisazione e, improvvisando e sperimentando, inglobare quanta più tecnica possibile per raggiungere un livello superiore.

L’attività di famiglia ha radici profonde, nel 1934 ad Agugliano. Quanto è importante essere cresciuto in una famiglia di ristoratori, quanto è importante la tradizione familiare nella capacità di improvvisare e sperimentare?

Avere un background di ricordi gustativi è fondamentale secondo me. La capacità di riconoscere i gusti, di saper dominare l’olfatto, anche in relazione alla cucina tradizionale, è importantissima per sviluppare una propria percezione. Sperimentare nel freddo e nella pasticceria passa anche attraverso questi ricordi, queste esperienze, perché è alla base del saper innovare. Già dai primi anni Ottanta ho potuto sviluppare il mio percorso, anche stando al fianco di mia madre. E, ogni passo, è stato votato all’innovazione e alla sperimentazione, avendo ben chiare nella testa però quali fossero le basi.

Miglior gelato al cioccolato d’Italia secondo la guida Gelaterie d’Italia 2017, tre coni anche secondo la guida 2018 sono solo gli ultimi riconoscimenti ottenuti. Quanto valgono questi premi?

Sicuramente sono importanti, dal punto di vista dell’impresa e dal punto di vista personale. Ma sono convinto che questi riconoscimenti devono arrivare dopo un percorso di credibilità e tanto lavoro. Il consumatore finale riconosce i premi, ma apprezza davvero il percorso che hai compiuto. Se non c’è un rapporto vero e sincero con il consumatore, se non c’è un’attività di ricerca, formazione e sperimentazione, i premi e i titoli restano solo sulla carta e non offrono quel valore aggiunto che pure meriterebbero.

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È più importante nel successo di un pasticcere e di un gelaterie la qualità delle materie prime o la ricerca continua?

Sicuramente entrambi. L’alta qualità delle materie prime sta sicuramente alla base del prodotto. Ma su questa base deve innestarsi l’accrescimento personale e professionale, la ricerca, il voler lavorare su se stessi e sul proprio prodotto. La gelateria moderna, in questo senso, deve guardare al futuro, deve essere in grado di proporre un prodotto che strizzi l’occhio alla tecnologia e all’innovazione. Le nuove generazioni devono continuamente lavorare sulla formazione, anche su settori e ambiti non strettamente connessi al nostro. Penso al beverage, ai corsi di cucina tradizionale. Dobbiamo sempre essere in crescita, in formazione.

Il cioccolato è sicuramente un marchio distintivo suo personale e delle sue creazioni. Ma se dovesse scegliere il suo gusto preferito, quale ci consiglierebbe?

Vi direi nocciola, tra i più tradizionali. Però non dobbiamo mai dimenticare che anche la tradizione spinta va innovata, va ampliata. Questo è quello che mi sento di consigliare anche alle generazioni più giovani: innovare sempre, cercare nuove strade al gusto. Penso agli innesti gastronomici, all’olio d’oliva, alle spezie, ai formaggi. Dobbiamo essere anche capaci di guardare a nuovi gusti. Ci sono già nuove frontiere in questo senso. Su quelle dobbiamo lavorare.

Foto di brambillaserrani.it

Il gelato in particolare sta diventando vera e propria eccellenza italiana. Quali sono i margini di miglioramento e quali possono essere i rischi di una eccessiva diffusione?

Dobbiamo sfruttare la tecnologia, l’innovazione e la formazione per stravolgere il settore e ricomporlo sempre secondo nuove regole. Sta maturando nuovo fermento, sta crescendo la voglia di innovare perché nuove sono le sfide. Potrei dire che la vecchia gelateria è ormai morta. Se abbiamo la capacità di studiare e creare sempre nuovi stili abbattiamo il rischio dell’italian sounding e portiamo sempre più avanti il limite da raggiungere. Così facendo la scuola italiana non sarà mai raggiungibile.

Dopo Avanguardia Gelato, ha pubblicato anche Gelateria per tutte le stagioni. Dai cremosi alle praline, 365 giorni di idee golose. Il segreto sta anche nella condivisione delle esperienze?

Non bisogna mai avere paura di condividere le proprie esperienze. Perché l’interscambio di conoscenze resta decisivo anche nei settori dell’alta pasticceria e della gelateria. Abbiamo quasi necessità di condividere le nostre idee, anche i piccoli segreti personali.

“Gelateria per tutte le stagioni” oltre ad essere il titolo del suo ultimo libro, è anche una forte visione nel superamento del limite della periodicità?

Inevitabilmente il gelato è un prodotto che si consuma prevalentemente d’estate. Ma ci sono le strade per superare questo limite. Anche in questo caso ci viene incontro l’innovazione. Le strategie possono essere diverse e tutte valide. Dobbiamo sfruttare la tecnologia per portare il gelato nelle case degli italiani, così da riuscire a farlo consumare anche d’inverno. Dobbiamo portare il gelato moderno nell’alta ristorazione con le sperimentazioni. Dobbiamo lavorare sulla destagionalizzazione attraverso la proposta di gusti sempre nuovi legati alla qualità dei prodotti e attraverso le contaminazioni con la cucina tradizionalmente intesa.

ANTONELLO MINOIA

Giornalista pubblicista, con una passione smisurata per i carboidrati, per lo sport e per tutto quello che è scrittura, testi, contenuti e comunicazione. Da bambino scrivevo favole, da “grande” volevo fare il poeta o lo scrittore. Mi dicevano: “Non raccontare storie”. E, invece, io proprio quello faccio: racconto storie.

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